In un mondo sempre più attento alla riduzione degli sprechi alimentari e alla ricerca di una filiera di produzione sostenibile, è interessante esplorare il potenziale delle microalghe.
Questi organismi unicellulari, infatti, potrebbero risultare molto utili in quanto fonte proteica a basso impatto in termini di CO2.
Introdurre le microalghe nella nostra dieta rappresenta, però, una duplice sfida: culturale e tecnologica. I paesi del cosiddetto “occidente” sono poco avvezzi a variare le proprie abitudini alimentari e a introdurre nuovi ingredienti nella filiera alimentare. Per di più, l’utilizzo di nuove materie prime potrebbe produrre variazioni di colore e/o consistenza nei cibi abituali che rischierebbero di non essere accolti di buon grado. Da qui, dunque, la sfida tecnologica: riuscire a produrre dei cibi di buon aspetto e con le giuste caratteristiche reologiche, oltre che nutrizionali, tali da essere ben tollerati e accettati dalla popolazione.
I cibi destinati ai soggetti con patologie legate al glutine vengono arricchiti in proteine per sopperire ai malassorbimenti che, spesso, interessano chi è affetto da questi disturbi. A tal proposito sono stati effettuati diversi tentativi di utilizzo di organismi unicellulari come fonte proteica. Il più promettente, ad oggi, è quello della Tetraselmis chuii grazie all’apporto della quale si è ottenuto un pane gluten-free di gradevole aspetto e con una consistenza non lontana dal pane “tradizionale”. Questo pane, preparato con un apporto di microalga in varie percentuali, trova, nella formulazione al 4%, un interessante incremento della bioattività e un intrigante colorazione verde che rappresentano un buon punto di partenza per proseguire le ricerche in questo campo, che sta rivelando il grande potenziale delle microalghe.
Ing. Antonio Arpino