Possiamo fidarci di certificazioni e logo gluten free?

L’acquisto di un prodotto è spesso motivato dal suo packaging ma possiamo fidarci di certificazioni e logo gluten free?

Una grafica interessante, un logo o un claim nutrizionale possono influenzare molto le nostre scelte, tanto da indurre ad un acquisto impulsivo.

I consumatori odierni, tuttavia, risultano più esigenti nella richiesta di garanzie di sicurezza su ciò che mettono nel carrello: come è infatti emerso dalle ultime indagini INRAN condotte nel nostro paese riguardo alle etichette dei prodotti alimentari (grafico G2); il 43% dei soggetti dichiara di leggerle spesso o sempre, abitudine più diffusa tra le donne (55%) che tra gli uomini (28%). Le informazioni che vengono lette più frequentemente (spesso o sempre) risultano essere, nell’ordine, la scadenza del prodotto (74%), le modalità di conservazione (44%), le modalità d’uso (41%), la provenienza del prodotto (37%), l’elenco degli ingredienti (34%), il contenuto in nutrienti (26%), il tipo di additivi presenti (24%), tutte le informazioni riportate (23%). (rif. Laura D’Addezio, Marisa Capriotti, Antonella Pettinelli, Aida Turrini)1,2. 

L’attenzione risulta maggiore in caso di soggetti allergici od intolleranti. Tra le allergie e le intolleranze più note, di sicuro ritroviamo quella nei confronti del glutine.

L’Osservatorio Immagino (GS1-Nielsen) rileva che “complessivamente i prodotti alimentari rivolti agli intolleranti al lattosio o al glutine (esclusi acqua e alcolici) sono arrivati a sfiorare il tetto degli 8 mila prodotti, grazie a 1.946 nuovi prodotti sul cui packaging sono comparsi claim riferiti all’assenza di glutine o lattosio. Così oggi il 13% dei quasi 61 mila prodotti presenti nell’Osservatorio Immagino si rivolge espressamente a chi soffre di intolleranze alimentari, diagnosticate o presunte, e anche a chi, pur non avendo intolleranze accertate, decide di seguire questo regime alimentare”.

Frequentemente, per quanto concerne il glutine, si fa confusione tra allergia alle proteine del grano, sensibilità al glutine (più nota come NCGS: Non – Celiac – Gluten -Sensitivity) e Celiachia, con suggestioni di autodiagnosi da parte dei pazienti, mentre è competenza esclusivamente medica porre diagnosi e diagnosi differenziale tra le diverse forme sulla base delle indagini cliniche, di laboratorio e istologiche.

Giusto per avere un quadro della situazione faccio una piccola “apparente” digressione sulle differenze sui principali disturbi.

“LA SENSIBILITÀ AL GLUTINE NON CELIACA è un disturbo di recente introduzione nel vocabolario medico, utilizzato per identificare tutti quei casi in cui un paziente manifesta sintomi caratteristici della malattia celiaca, e trae beneficio da una dieta priva di glutine, nonostante dagli accertamenti medici sia possibile escludere la presenza di celiachia o di allergia al grano. Pertanto, un soggetto sensibile al glutine manifesta i sintomi tipici della celiachia pur non essendone affetto. La sensibilità al glutine non celiaca è nota anche come NCGS (dall’inglese Non-celiac gluten sensitivity).” 

L’ALLERGIA AL GRANO è una reazione allergica alle proteine del frumento. Le differenze rispetto alla celiachia risiedono nel tipo di anticorpi coinvolti (oltre che nella gravità dei sintomi associati): mentre nella celiachia sono coinvolti specifici autoanticorpi contro la transglutaminasi tissutale 2 (anti-TG2), nell’allergia al frumento sono coinvolti anticorpi IgE specifici per alcune sue proteine.

LA CELIACHIA è una condizione permanente di intolleranza alla gliadina, frazione proteica del glutine, contenuta in alcuni cereali quali frumento, segale, orzo, avena, farro, frik (grano verde egiziano), spelta, kamut, triticale o i loro ceppi ibridati e di conseguenza presente in moltissimi alimenti. E’ attualmente inquadrata come enteropatia infiammatoria permanente con tratti di autoimmunità che si manifesta nei soggetti geneticamente predisposti, nei quali l’ingestione di alimenti contenenti glutine innesca una serie di alterazioni immunologiche con produzione di anticorpi che determinano lesioni a carico dell’intestino, dove il danneggiamento e la progressiva atrofia dei villi della mucosa intestinale comportano malassorbimento dei nutrienti con conseguenti carenze iniziali e danni secondari nei diversi distretti dell’organismo, a cui possono seguire altre gravi patologie tra le quali il linfoma intestinale.”3

La celiachia è una malattia di ampia rilevanza sociale che, se trascurata o non diagnosticata, porta nel tempo ad un peggioramento delle condizioni di salute e di vita dei pazienti. In Italia la malattia celiaca ha una prevalenza stimata di 0,30 soggetti ogni 100 persone, peraltro in costante aumento.

A questo punto un soggetto che sia celiaco, allergico al grano o “semplicemente” per modo di dire, intollerante al glutine, quali garanzie ha di acquistare un prodotto sicuro?

Ebbene qui subentrano le certificazioni di prodotto e i loghi che garantiscono il “GLUTEN FREE”.

Certificazioni e logo Gluten Free

Oltre ad un’attenta lettura degli ingredienti, tali strumenti ci vengono in aiuto. Infatti spesso possiamo trovarci innanzi a etichette scritte male (e qui mi duole ricordare e sottolineare l’importanza per ogni OSA di avere un buon consulente in materia di Sicurezza Alimentare) o alquanto complesse.  

Tuttavia da un punto di vista legale la presenza di ingredienti contenente glutine va ben evidenziata in etichetta; il problema sussiste per le contaminazioni crociate, ossia il famoso “può contenere tracce di …” per esempio “di glutine”.

Tale dicitura è una sorta di paracadute per l’OSA che non vuole assumersi responsabilità sul suo sistema di autocontrollo e modalità produttive. E rischia di pagare tale mancanza di “responsabilità” con la possibilità concreta che il suo prodotto non venga acquistato da un soggetto che si ritrovi in una delle condizioni sopra descritte. E infatti perché mai dovrebbe rischiare? 

Se invece il consumatore che non vuole o non può ingerire glutine nella sua dieta vede un logo o legge addirittura che quel prodotto proviene da uno stabilimento che ha conseguito una certificazione per il gluten free/senza glutine, si sente rassicurato.

Queste certificazioni infatti sono il punto di arrivo di un lungo percorso, che richiede serietà ed impegno, nonché un investimento anche di tipo economico da parte delle aziende e produttori che ne fanno richiesta. Tali aziende si rivolgono ad un ente terzo, un organismo di certificazione accreditato, che solo dopo aver valutato documentalmente e soprattutto attraverso ispezioni in sito, anche di tipo “a sorpresa” presso il richiedente, concede la certificazione e l’autorizzazione ad avere su un pack dei loghi come quelli mostrati in figura 2

Figura 2

Queste certificazioni spesso si fondano su un Disciplinare specifico che si applica a qualsiasi tipologia di prodotto alimentare con contenuto di glutine inferiore ai 20 ppm, attuale limite di legge (Regolamento CE N. 41/2009).

L’azienda richiedente deve:

  1. Dotarsi di un sistema di gestione del requisito Senza Glutine.
  2. Effettuare un’analisi del rischio che consideri:
  • la presenza di glutine nelle materie prime;
  • il pericolo di contaminazione durante tutte le fasi di produzione;
  • la gestione del prodotto non conforme;
  • l’esecuzione di prove analitiche di controllo;
  • la formazione del personale.

Inoltre l’Azienda richiedente deve effettuare una «qualifica fornitori».

Un esempio pratico di come funziona una certificazione di questo tipo è disponibile al seguente link:

https://www.bioagricert.org/it/certificazione/qualita-prodotto/certificazione-lactose-gluten-free.html

Nello specifico i requisiti previsti dal disciplinare proposto dall’ente di certificazione BIOAGRICERT, un ente totalmente Made in Italy, con il quale chi scrive collabora e che recentemente ha attirato l’interesse anche di entri globali internazionali (quali FOODCHAINID) riguardano:

  • autorizzazioni, struttura e collocazione del sito;
  • analisi del rischio (in particolare presenza e cross-contaminazione da glutine);
  • struttura di produzione: condizioni generali e condizioni specifiche (misure relative a cross-contaminazione da ambiente, dal personale, da produzione con glutine);
  • controllo di prodotto: aspetti generali e aspetti specifici (programma di produzione, valutazione materie prime, piano campionamento);
  • identificazione dei prodotti, materie prime e semilavorati e sistema di tracciabilità;
  • gestione del prodotto non conforme e delle situazioni di crisi;
  • sistema di gestione: formazione (attuale e nuovo personale);
  • audit (la conformità verificata annualmente).4

La certificazione è quindi uno strumento oggettivo che può essere utilizzato dalle aziende per dimostrare la due diligence nella gestione del claim “Senza Glutine”.

Persino gli standard più richiesti dalla GDO, come li propone il modulo volontario integrativo BRC 12 Glutenfree Foods che può essere richiesto come estensione di scopo del certificato BRCGS (alle aziende già in possesso di questa certificazione richiesta dalla grande distribuzione) e permette un più facile accesso al logo “Spiga Barrata” con licenza Europea.

Queste certificazioni sono particolarmente importanti per gli Alimenti SENZA GLUTINE – specificamente formulati per celiaci. Essi sono considerati sostitutivi degli alimenti di uso corrente avente come ingrediente unico o predominante un cereale contenente glutine. Sono espressamente prodotti, preparati e/o lavorati al fine di ridurre il tenore di glutine di uno o più ingredienti oppure sostituire gli ingredienti contenenti glutine con altri che ne sono naturalmente privi. In questi casi la dicitura “senza glutine” può essere accompagnata dall’indicazione “specificamente formulato per persone intolleranti al glutine” o “specificamente formulato per celiaci”.

Conclusioni

Dunque se ci stiamo chiedendo se possiamo fidarci delle certificazioni di prodotto, la risposta è si! Un consiglio in più: andate a ricercare l’ente che rilascia la certificazione così da poter essere ulteriormente informati sul rispettivo disciplinare su cui si fonda la certificazione stessa. 

Da oggi la parola d’ordine è: “piena trasparenza in etichetta”. 

Vincenza Castiglia Biologo Nutrizionista e consulente in Sicurezza Alimentare e SGQ

Bibliografia e fonti:

  1. L’indagine nazionale sui consumi alimentari in Italia INRAN-SCAI 2005-06. Parte C: I risultati dei questionari sulle abitudini alimentari. Osservatorio Consumi Alimentari, INRAN. Roma, 2011.)
  2. Special Eurobarometer wave EB 91.3 –Kantar. Food Safety in the EU April 2019.Pubbliction June 2019.
  3. https://www.my-personaltrainer.it/nutrizione/sensibilita-glutine.html
  4. https://www.bioagricert.org/it/certificazione/qualita-prodotto/certificazione-lactose-gluten-free.html